Al di qua (3)

(18 dicembre) Tra le particelle che costituiscono la materia è in corso una interazione ininterrotta, di cui non è mio scopo investigare le caratteristiche, salvo dire che in certi punti essa assume una complessità a cui abbiamo convenuto di dare il nome di vita. In realtà non esiste alcuna differenza tra materia cosiddetta inanimata e materia cosiddetta animata; la nostra definizione deriva esclusivamente da noi stessi, basata, appunto, sulla constatazione di un livello particolare di complessità che notiamo in determinati oggetti (piante, animali).

Generalmente diamo anche a questo livello di reattività il nome di sensi, tra i quali ci sembra primeggiare una sensazione di esistenza soggettiva. Si tratta di ciò che chiamiamo coscienza, che è insieme il presupposto e la conseguenza di tutte le altre sensazioni; ma non ne differisce in nessun modo speciale. Questo quadro dell’attività cosmica è ridicolmente sommario, ma esso ha un vantaggio: indica abbastanza chiaramente la superfluità e illusorietà di speciali rapporti di natura soggettivo-oggettiva, cioè di quella bidimensionalità che fa da secoli la base della filosofia.

In questo continuum non vi è spazio logico nè per una particolare posizione delle varie individualità nè per interventi di natura soprannaturale. Che le cose stiano, più o meno, in questa maniera è sospettato dal tempo dei presocratici ed è stato espressso in modi diversi e frammentari attraverso l’intera storia del pensiero. In questi ultimi anni se ne sono avute tuttavia conferme sperimentali che eliminano ogni possibilità di dubbio, almeno sul piano logico.

Mi limiterò a citarne due, tutte e due frutto di nuove branche della ricerca scientifica.

La prima dipende dalla cosiddetta psicologia cognitiva, la quale ha dimostrato che la sensazione di coscienza individuale non è, nemmeno nell’uomo, indispensabile alla vita; essa può essere, così come gli altri sensi annullata – sperimentalmente o a causa di patologie – o trasferita da un individuo all’altro, senza causare l’interruzione della reattività reciproca tra il senso dell'individualita' e il mondo esterno.

Ha particolarmente impressionato l’esperienza di una giovane ma già molto nota studiosa di neuroanatomia, Jill Bolte Taylor, docente di Harvard, la quale, colpita da un massiccio colpo cerebrale, ha perso il senso della propria individualità ma lo ha poi lentamenterecuperato man mano che avveniva un parziale risanamento dei propri circuiti nervosi. Grazie alla sua speciale competenza in materia psicologica, essa ha potuto minutamente descrivere tutti e due i processi, quello di andata, con la perdita della personalità, e quello di ritorno, man mano che essi avvenivano o subito dopo. Poi li ha descritti in un libro (“My Stroke of Insight,” Plume, New York).

L’altra serie di ricerche appartiene alla biologia sintetica, un campo di studi diretto a generare manifestazioni vitali nella materia cosiddetta inorganica; finora, esso si è limitato al livello microbico, ma il successo in questo campo ha già un immenso valore di principio.


Nel maggio scorso il massimo esponente mondiale di genomica sperimentale, il dr. Craig Ventner, autore della prima decifrazione del genoma umano, e un gruppo di allievi hanno annunciato la creazione artificiale del genoma di un batterio con elementi di chimica inorganica, e il suo trapianto in un batterio di specie diversa; questa macchinetta biologica ha continuato a funzionare. L’esperimento ha indotto l’amministrazione americana a sottoporre l’intero campo di ricerca a una commissione di bioetica, che ha tuttavia dato luce verde per la continuazione degli esperimenti.

Rovine in rovina

(17 dicembre) Giungendo a poche settimane di distanza dal crollo del soffitto della Domus Aurea, la notizia di franamenti e distruzioni irreparabili a Pompei ha causato grave allarme negli ambienti che in America ancora si interessano alla cultura, i quali si domandano, per usare le parole del New York Times, “che cosa facciano la burocrazia e le istituzioni culturali [italiane] oltre ad offrire posti a un indecente numero di fannulloni” (New York Times, 10.12.10). Due giorni dopo, lo stesso quotidiano, vale a dire il principale giornale del mondo, torna sull’argomento per rivelare che “i problemi di Pompei riflettono un’incuria risalente a vecchia data.”


Non per autocitarmi, desidero osservare che lo choc registrato oggi sul piano mondiale sarebbe stato forse minore se si fosse dato un qualunque peso agli avvertimenti contenuti nel mio libro “Roma,” pubblicato in varie lingue (edizione tedesca, 1996; italiana, 1999; inglese, 2005), in cui segnalo da anni l’esistenza in Italia di un incrocio tra corruzione politica e delittuosa negligenza in materia di conservazione del patrimonio artistico, a cui ho dato il nome di “complesso politico-archeologico” e a cui è dovuto il progressivo deperimento di quella che è una delle poche rimanenti ricchezze del nostro paese.


Nell’edizione in cui ho finora trattato più ampiamente il tema, quella pubblicata a Londra nel 2005 e attualmente in corso di aggiornamento per la pubblicazione negli Stati Uniti, sotto il titolo “accessibilità e conservazione del monumenti romani” osservavo: “Il pubblico ha oggi meno accesso ai principali monumenti di Roma di quanto ne abbia mai avuto da vari decenni a questa parte… i visitatori sono lieti di apprendere l’inizio di altamente pubblicizzate campagne archeologiche, ma ciò che questa pubblicità non dice è che per ogni nuovo sito archeologico che viene aperto, due vengono chiusi… La Galleria Borghese è stata restaurata e ridipinta, ma il lavoro è stato così inetto che pezzi della facciata posteriore cadevano a terra a soli pochi mesi dall’inaugurazione… Il tetto della basilica di S. Pancrazio è crollato non durante il restauro, ma subito dopo…Corruzione e clientelismo politico hanno sempre infestato l’Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma a Roma il fenomeno ha avuto un aspetto speciale: una relazione simbiotica tra il potere politico e una vasta armata di antiquari, archeologi e restauratori, dai ranghi traboccanti di beneficiari di nepotismo e clientelismo…”