Bagatelle per un massacro

I commentatori e i conduttori di poll impegnati nel prologo alle elezioni americane di medio termine hanno fatto una grandissima scoperta: c’è la guerra. Anzi una guerra doppia, tripla, che va avanti da nove anni, di cui non si vede minimamente la fine, che ha fatto finora quasi cinquemila morti più trentamila mutilati e feriti solo da parte americana, forse un milione e più di morti e feriti altrove, più lo sperpero di qualche trilione di dollari, più il collasso dell’economia occidentale: ma pochi o nessuno sembrano ricordarsene tra quelli che si preparano a votare. Pochissimi, poi, la pongono come una ragione eminente di preoccupazione. Chissà come mai?

Osserva, per fare un esempio Tom Brokaw, corrispondente speciale del giornale televisivo della NBC, che l’apparizione nella contesa elettorale del populista Partito del Tè è oggetto di grandissime discussioni e commenti; invece di questo stillicidio di morte e distruzione non si sente quasi parlare; nè tra gli elettori, nè tra i non elettori, nè tra gli occupati, nè tra i disoccupati, nè tra i risparmiatori, nè tra i consumatori, insomma da quasi nessuna parte. “E’ possibile che nessuno si accorga che dal panorama manca qualcosa? … E perchè mai queste guerre, e le loro conseguenze umane ed economiche, non sono in primo piano, al centro, di questa campagna elettorale?” Si chiede Brokaw.
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Qualcuno, di tanto in tanto, incluso chi scrive e incluso uno degli stessi protagonisti principali come il presidente Obama, ha individuato e occasionalmente indicato durante tutto questo tempo la causa più chiara di questo letale fenomeno collettivo. E’ il fatto che nella nazione più profondamente responsabile e più abituata e attrezzata a fare grande rumore sulle sue vicende interne, cioè da parte americana, la gente se ne infischia, e se ne infischia, perchè solamente un uno per cento – i soldati dell’esercito volonario e le loro famiglie – è direttamente coinvolto. Per di più, questo un per cento è pagato; dunque, fatti suoi. I morti? Sono, nell’immensa maggioranza, figli altrui. E quando si sono andati ad arruolare sapevano bene che erano pagati o per uccidere o per essere uccisi.

Però c’è anche un’altra ragione di silenzio che viene menzionata ancora meno, neppure dal pur coraggioso presidente Obama, neppure dai giornali, perlomeno quelli d’America e delle altre nazioni occidentali. Essa è connessa alla causa originaria di quest'epopea di strage, ed è una causa, che, pure, fu messa in colossale evidenza dalla più mostruosa catastrofe mai subìta da una nazione “avanzata” come gli Stati Uniti. Volete un indizio per risolvere questo permanente indovinello? Cercò all’epoca della catastrofe di provvederlo al pubblico americano un signore plurimiliardario che proprio in questi giorni è riapparso sulla scena in seguito a certi suoi investimenti sul mercato azionario di New York. Si tratta del principe Walid bin Tal, della famiglia regnante in Arabia Saudita, una figura molto criticata nel suo Paese per via del suo accentuato filo-americanismo, e molto criticata in America per il suo accentuato filo-islamismo (questa doppia qualifica sembrerebbe di per sè indicativa di una qualche imparzialità).

Il principe Walid, quando crollarono i due grattacieli del World Trade Center, spedì a Rudolph Giuliani, sindaco della città in cui vive il più vasto aggregato ebraico del mondo, superiore anche a quello di qualsiasi città israeliana, così vasto e predominante che un giornale svedese la ribattezzò una volta Jew York, un assegno di 10 milioni di dollari da impiegare per l’assistenza alle famiglie delle migliaia di vittime. Insieme c’era un biglietto che diceva: “Gli Stati Uniti dovrebbero però anche riesaminare le loro direttive politiche nel Medio Oriente ed assumere una posizione più equilibrata nei confronti della causa palestinese.” Il sindaco Giuliani nel ricevere questa comunicazione si dichiarò supremamente oltraggiato da questa intrusione sia pure verbale nella politica estera americana, e per seppellire il tutto sotto il più sdegnato oblìo restituì anche al mittente il regalo di dieci milioni. Serve a voi questo episodio di nove anni fa come indizio alla soluzione del summenzionato enigma?