Il New York Times e la crociata anti-Islam

(10 ottobre) Un paio di giorni fa un noto columnist newyorkese, Bob Herbert, si è aggiunto a un crescente coro di gente che si sta accorgendo del multiforme declino della società americana, e, prendendo spunto dal fatto che le autorità statali hanno rinunciato a costruire un tunnel ferroviario al di sotto del fiume Hudson, che pure è urgentemente necessario, ha scritto: “Siamo bravi a scendere in guerra nell’Iraq e nell’Afganistan e a scagliare minacce contro l’Iran … ma non riusciamo più a fare nemmeno un’opera d’ingegneria che un tempo sarebbe stata quasi di ordinaria amministrazione… L’America, che ha tante volte stupito il mondo con la lungimiranza e la grandiosità delle sue imprese … sta perdendo le sue capacità e sempre più scivolando in basso… E non è soltanto questo… E’ che l’America sta perdendo l’anima … C’è stato un punto, ci sono state ragioni, ci sono stati momenti, in cui questo sconvolgimento è incominciato…”

Salvo menzionare le guerre in corso, il giornalista non si azzarda ad additare nessuna di queste ragioni e momenti misteriosi, eppure, per far capire perlomeno di che si tratta, gli basterebbe parlare del giornale sui cui scrive, il potente New York Times, ancor oggi considerato il più efficiente e il più influente quotidiano del mondo.

Di proprietà israelita ma, in passato, sempre molto attento a non far derivare da questo il tono dei suoi resoconti, il giornale, oltre a perdere rapidamente quota come qualità negli ultimi anni, si va sempre più chiaramente schierando dove lo spingono forze di parte legate all’ebraismo più fanatico e fondamentalista, nel tragico conflitto che vede gli Stati Uniti, e dietro ad essi il resto dell’occidente, sempre più impastoiati in una lotta insensata contro il mondo islamico, e ciò a solo vantaggio dell’espansionismo israeliano in Palestina. A volte – come è accaduto oggi – al punto da rendersi occasionalmente, e, sembrerebbe, quasi senza saperlo, portabandiera di queste forze nelle loro manifestazioni più repugnanti.

Oggi è la volta di un articolo su due intere pagine – una lunghezza assolutamente senza precedenti, per quanto io ne sappia, per questo giornale, da almeno mezzo secolo a questa parte – corredato da una ventina di fotografie a colori e segnalato vistosamente in prima pagina, in cui si fa la storia di una nuova esponente del movimento razzista e anti-Obama del cosiddetto “tea party” (vedi il mio articolo “Protofascisti all'assalto in America,” del 15.09.10). Si tratta di una repellente donnaccola, almeno per il mio gusto, di nome Pamela Geller, editrice di un blog sull’internet chiamato “Atlas Shrugs” (dal titolo di un famoso libro di Ayn Rand, la filosofa anarchica di destra degli anni Trenta), blog che sta passando il milione di lettori.

La specialità della Geller, nel quadro generale delle attività anti-Obama del “tea party” è un attacco sfrenato contro ogni e qualsiasi aspetto del mondo arabo. La Geller si definisce essa stessa “razzista islamofoba.” Proveniente da uno degli ambienti chic del mondo ebraico newyorkese, la donna propone una guerra ad oltranza contro l’intero mondo mussulmano e in particolare del movimento palestinese a cui dovrebbe essere negato perfino il possesso dei suoi secolari luoghi santi entro i confini di Gerusalemme: la stessa moschea di Al Aqsa, uno dei più venerati monumenti dell’islamismo, sul colle dove sorgeva un tempo il Tempio degli ebrei, dovrebbe essere rasa al suolo.

Non parliamo del trattamento che la Geller vorrebbe riserbare all’imam arabo che a New York vorrebbe costruire una moschea “di conciliazione tra le fedi” in vicinanza del luogo dove crollarono le torri del Trade Word Center, un progetto applaudito dal presidente Obama non meno che dal sindaco di New York Bloomberg, anche se egli stesso israelita; nè dell’obbrobrio espresso da questa arpia nei confronti di qualunque misura approvata finora dall’amministrazione democratica e dal presidente Obama che, secondo lei, sono anzi all’origine del declino che pure lei riconosce in atto negli Stati Uniti. “Un declino – ha detto – non solamente presieduto, ma attivamente promosso dal signor Obama.”

Non parliamo di tutte queste scemenze, dicevo, anche perchè ne parla in assurdo dettaglio il New York Times; con l’effetto, ovviamente, di dare enorme pubblicità ad una sciagurata fomentatrice d’odio nonchè alle sue nauseanti idee, una pubblicità del valore di centinaia di migliaia di dollari, anche se calcolata semplicemente in base alle tariffe del giornale. Se poi si pensa alle elezioni del mese prossimo in cui tutte le forze anti-Obama, anche le più mefitiche, si stanno coalizzando per negare al presidente una maggioranza in Congresso, il valore sale di molto.

Solo tre giorni prima della comparsa dell’articolo era finito a New York il processo contro l’attentatore pakistano-americano Faisal Shahzad, che cinque mesi fa parcheggiò un’auto con inefficienti esplosivi in Times Square. Dopo aver ascoltato la sua sentenza all’ergastolo, e aver chiesto e ottenuto di parlare, il condannato ha pronunciato un breve e sensato discorso sui rapporti arabi con l’occidente e sull’assurda crociata anti-islamica che procede da nove mesi. Il giudice (una donna) lo ha ascoltato con interesse ed equanimità, perfino ringraziandolo alla fine. Il New York Times, nel suo resoconto, ha riservato alle dichiarazioni di questo giovanotto che si prepara a passare una vita in galera, cinque righe.