Viale del tramonto

(27 ottobre) Il cinema – soprattutto quello di Hollywood – influisce sul costume, o è il costume che influisce sul cinema? O il processo è circolare, nel senso che i due si influenzano a vicenda?

In attesa di una risposta, mi sono accorto che sia il cinema che il costume procedono veramente a ondate, anche se spesso uno nemmeno se ne accorge. Per esempio, agli esordi e poi fino ai tardi anni Trenta trionfavano film imperniati sui personaggi “fini,” “sensibili”, sia femminili (per fare degli esempi, Lillian Gish in tempi antichi, più recentemente Ingrid Bergman) che maschili (tipo prima Richard Barthelmess, poi Paul Henreid o il grande Leslie Howard, che tutti credevano tipicamente inglese, invece era polacco); e sui loro personali calvari. Spesso, gli stessi titoli rendevano in partenza l’idea (“Fiori infranti” ).

Adesso, i fiori sono sempre infranti nella realtà, ma nel cinema e anche nella narrativa e nel costume, chi se ne interessa più? Chi parla più degli uomini e delle donne “sensibili”? Casomai, interessano i caratteri duri. Perfino certe parole stanno uscendo dall’uso. Come avviene anche in Italia: “è molto fine,” si diceva una volta per dire una persona raffinata. Adesso “fine” non si dice più, o solo per ironia, o solo al livello di portierato.

Dopo quella mania ne arrivò, negli ultimi anni Trenta e primi anni Quaranta, un’altra di forza anche molto maggiore, uno tsunami più che semplice ondata: quella delle afflizioni psichiatriche. In tutte le versioni, dalla “Psycho” o psicosi vera e propria (Hitchcock ci fece, sul tema, non meno di quattro film) alla personalità multipla, alla supercriminalità demenziale, alla paranoia, all’amnesia totale con ricadute romantiche, e poi alla psicanalisi in tutte le sue varianti, Freud, Jung, Adler.

Le persone bene, soprattutto in America, avevano, una su due, lo psicanalista, i bambini cominciavano a scuola con lo psichiatra. Poi, tutto d’un tratto, la mania è passata totalmente e non è mai più, o perlomeno non ancora, tornata. Giorni fa ho riguardato una pellicola del 1947 intitolata “Possessed” (“L’ossessa” o “Gli Ossessi,” il titolo di Dostoievski). Si era a quell’epoca all’apice dello tsunami. Ma il film era un prodigioso pastrocchio, nonostante il meraviglioso cast con Joan Crawford, Raymond Massey e Van Heflin, ed è rapidamente uscito dalla comune. Magari può essere stato proprio quello che ha indotto la gente a intravedere l’assurdità dell’intera voga, e a farla, nel giro di una ventina d’anni, scomparire.

E adesso? In mezzo a quale ondata siamo? Io non vedo o sento altro che film su puerili storie fantastiche con calci in bocca, o sulle parti basse, e grandi scopate; un appetito per la favola scema, la violenza e il sesso che mi pare più che altro uno sforzo per staccarsi dal presente, e che si inquadra benissimo nel declino cerebrale che è a sua volta un aspetto della deriva verso cui sta purtroppo andando questo grande Paese, e dietro a lui, ovviamente, Paesi già in partenza più rimbambiti e più arretrati come l’Italia.

Di questo lagrimevole moto discendente fanno parte tante altre cose, ma la più grave, con cui concludo, è la scomparsa della musica, perchè non voglio intendere questa parola i rumori e singhiozzi con accompagnamento di parolacce, che si sentono normalmente alla radio o televisione o nei cosiddetti "concerts".

Io parlo della musica seria, il cui uditorio, in tutta l’America, è diminuito per lo meno dell’80 per cento rispetto a tempi che pure erano finanziariamente molto più magri, come i primi decenni del dopoguerra. La vendita dei dischi di musica classica è precipitata a poco più di zero. A Manhattan c’erano fino a pochi anni fa due stazioni radio che trasmettevano musica classica 24 ore su 24. Una decina d’anni fa, le stazioni sono diventate una. Poi questa si è salvata dalla bancarotta vendendosi a terzi, i quali tuttavia l’hanno ridotta al lumicino sia come orario che come personale e raggio di diffusione. Adesso chiede disperatamente soccorso al pubblico per non dover chiudere anche lei.
7:52 AM