Avvoltoi sulla testa di Obama: Bloomberg tra questi?

(19 settembre) Più la popolarità di Obama si logora contro gli intrattabili problemi lasciatigli in eredità dalla precedente amministrazione, più aumentano, ovviamente, quanti pensano di potergli soffiare il posto quando tra due anni scadrà il suo primo mandato.

Quelli che più ferocemente contestano Obama appartengono al movimento del Tea Party, che si è alimentato di odio per l’abitante nero della Casa Bianca (vedi l’articolo del 15 settembre “Protofascisti all’assalto negli Stati Uniti.”). Primeggiano tra costoro Sarah Palin e il suo ex burattinaio, il già, e forse ancora, aspirante alla presidenza John McCain. Ma tutti e due appartengono al partito repubblicano, dove costituiscono, per via del loro estremismo, un elemento di divisione. Se si presentassero come repubblicani, potrebbero avere il solo effetto di far naufragare alle elezioni del 2012 l’intero partito.

Non è assolutamente escluso che la Palin possa presentarsi come indipendente, ma in ogni caso l’etichetta del “Tea Party” non ha sui tempi lunghi gran possibilità di assicurare la vittoria a chi cerchi di giovarsene per la massima contesa. Questo movimento di tipo qualunquista, per quanto fondato in parte su motivi di protesta sentiti e legittimi è fondamentalmente un fuoco di paglia con una prognosi di sopravvivenza politica non superiore a quella che ebbero a suo tempo, nell’immediato dopoguerra, il qualunquismo italiano e il suo profeta Guglielmo Giannini.

E’ a questo punto che si leva all'orizzonte la sagoma di Michael Bloomberg, sindaco di New York, uno degli uomini più ricchi del mondo e molto ammirato come “doer” (uno che “fa le cose”) e per il buon lavoro che ha fatto sinora nella capitale cervello degli Stati Uniti.

Bloomberg è un vero e convinto uomo di centro: non è sollevato dall’ondata del “Tea Party”, che anzi cerca come può di contenere. Tra un paio di giorni, per esempio, inviterà a casa sua per una festa in suo onore il leader repubblicano del Senato, Harry Reid, che è uno dei bersagli preferiti del “Tea Party” (i preparativi sono già in moto; lo vedo perchè Bloomberg abita a pochi passi da me).

Bloomberg è amico di Obama, è anzi uno dei pochi che Obama invita a Washington per le sue partite di golf. Pur essendo israelita e proveniente da Wall Street, egli non si lascia intimidire dalle potenti lobbies ebraiche americane che cercano di coinvolgere l’occidente nella loro faida con i mussulmani. Per esempio, si è istantaneamente dichiarato, nonostante il furioso ostracismo di queste lobbies, a favore della moschea "ecumenica" progettata come iniziativa di pace da un movimento religioso moderato arabo(sufi) a poca distanza dal luogo dove crollarono le Torri Gemelle.

Al contrario, Bloomberg è amico della grande maggioranza di ebrei che hanno votato democratico, sostengono Obama e invocano una soluzione bistatale e la pace in Palestina. (L’esistenza di questa sempre più poderosa corrente ostile al fanatismo pro-guerra e anti-palestinese - corrente di cui ho promesso di riparlare - sembra essere invece addirittura ignota ai governanti italiani come il ministro degli esteri Frattini, che arrivando a New York tra un paio di giorni per l’Assemblea dell’ONU troverà necessario anche incontrarsi o magari anche prosternarsi davanti agli esponenti delle organizzazioni israelo-americane di destra, non sapendo a quanto pare che esistono anche organizzazioni israelo-americane di segno opposto.)

Bloomberg è entrato nella vita politica come democratico, poi ha preso la candidatura repubblicana dieci anni fa per concorrere alla carica di sindaco di New York infine è diventato indipendente per ottenere un terzo mandato di sindaco due anni fa. Se volesse concorrere alla Casa Bianca, molto difficilmente potrebbe essere ripreso dai due maggiori partiti e dovrebbe presentarsi come indipendente.

Il sindaco di New York è uomo troppo saggio per non saperere che, storicamente, gli esponenti dei “terzi partiti” quasi sempre falliscono nell’assalto alla Casa Bianca (l’esperienza di Ross Perot, un altro magnate di Wall Street, è ancora nella memoria di tutti); e per non sapere anche che, pure storicamente, la carica di sindaco di New York è sempre stata un pessimo trampolino di lancio per questo tipo d’avventura.

Ma, come dicono gli Americani, “there is always a first time,” e Bloomberg stesso non smentisce di avere un grande desiderio, quando tra due anni finirà per sempre la sua carica di sindaco, di trovare un altro lavoro al massimo livello, di trovarlo a Washington e di trovarlo, se in caso, alla Casa Bianca. Se andasse a Washington, ci andrebbe soltanto come presidente, ha detto al New York Times; “è escluso che io accetti, per esempio, una posizione di gabinetto.” Eppoi, se nulla di sublime si materializzasse per Bloomberg nel 2012, egli potrebbe sempre partire in resta per Washington quattro anni dopo. A 73 anni, ne avrebbe alla "inauguration" tre più di Reagan, che è stato il più vecchio dei presidenti americani; ma come si sa, l'età degli uomini è in continuo aumento.