Mano a mano

(18 settembre) Gli americani sono convintissimi che “mano a mano” significhi “all’arma bianca”, o “corpo a corpo”, e usano in questo senso questa espressione italiana con sussiego e orgoglio di poliglotti. Ho scritto due righe al New York Times una cui celebre articolista, Gail Collins, scrive appunto stamattina di questi scontri “mano a mano” nella sua importante “column” nella pagina degli editoriali. Dubito che pubblicheranno la mia correzione; vi farò sapere. (Nota successiva: non l'hanno pubblicata)

Nel caso specifico, l’errore è anche generato dal fatto che in inglese “corpo a corpo” si dice appunto “hand to hand”, ed effettivamente “hand” significa “mano.” Ma questa circostanza non giustifica lo svarione, perchè quando uno usa una lingua straniera, è tenuto a informarsi prima di ciò che dice. Non così gli americani. Uno degli aspetti più singolari di questo aspetto della loro nota semplicità è che si credono in pieno diritto di bistrattare la lingua altrui.

Quando giunsi qui vari anni fa c’era un grande negozio di scarpe femminili in pieno centro, sotto l’insegna: “Elegansima.” Chiesi al proprietario che cosa significasse questa parola e lui, tutto fiero del suo controllo delle lingue, rispose: “Italian for very elegant.” Quando gli osservai che ci mancavano più lettere all’interno, aggiunse che l’aveva saputo, ma che nell’insegna tutta la parola non c’entrava.

(In Italia questo tipo di errori vengono evitati, ma non sempre. In piazza Vittorio Emanuele a Torino, proprio sotto la casa che fu di mio fratello Franco, c’è un negozio di frivolezze femminili che si chiama “La bottega del bijoux.” Una ventina d’anni fa gli osservai che c’era una “x” di troppo ma mi guardarono sdegnosamente. La “x” è ancora lì.)

L’eccessiva sicurezza degli americani non si applica ovviamente solo all’italiano. E’ molto diffusa qui, per esempio, l’idea che l’espressione “coup de grâce” significhi “mossa graziosa.” S’immagini la reazione della danzatrice francese che guardando su un giornale di New York la recensione del suo debutto, legge che l’apparizione “of the ballerina” (altra parola penetrata nella lingua yankee, per fortuna in senso giusto) dette allo spettacolo “the coup de grâce.” Eppure è probabilmente avvenuto.

Quando era in lavorazione a Hollywood “Il padrino 2,” io fui chiamato da Francis Coppola a controllare che non ci fossero nel film errori d’italiano, soprattutto per la parte che avviene in Sicilia. Mi pagarono l’aereo in prima classe da New York a Los Angeles e ritorno e mi installarono nel famoso Beverly Hills Hotel sul Sunset Boulevard.

La mattina dopo andai nel saloncino dove provavano la pellicola appena montata, e lì c’era il regista Coppola, bravissimo ma che non parlava una parola d’italiano. Giravano i titoli d’apertura. Io vidi subito, nella lista dei protagonisti pseudo-italiani, una “Mama” Santuzza o altro nome che fosse. A voce alta interruppi per dire che in Italiano non si dice “Mama;” ma fui contraddetto e beffeggiato da molti, tra cui lo stesso Coppola. Tutti mi assicuravano che ero io a sbagliare. Io risposi che se dopo aver speso tanto per avere lì un Italiano nato e cresciuto a Roma e che avesse fatto le scuole, avevano scoperto che non sapeva scrivere la parola “mamma,” purtroppo avevano perduto dei bei soldi. L’indomani mattina ritornai a New York.