"Processo di pace" e missione italiana all'ONU

(21 settembre) “La pace in Medio Oriente non è mai sembrata più vicina,” ha detto Abraham Foxman, direttore della “Anti-Defamation League” ebraica negli Stati Uniti, nella riunione che questa ed altre organizzazioni israelo-americane hanno tenuto a New York con il ministro degli esteri italiano Franco Frattini. In realtà la pace non è mai sembrata più distante. I negoziati appaiono in procinto di arenarsi se il premier israeliano Netanyahu non revocherà la sua decisione di sospendere il moratorium che era stato applicato al programma di costruzione abusiva nei terroritori occupati da Israele in Palestina, programma che di per sè blocca ogni possibilità di accordo.

La buona o mala fede con cui il governo israeliano procede nelle trattative traspare chiaramente dalla notizia arrivata a New York da Gerusalemme, che esso sta tentando di servirsi del prolungamento del moratorium (che conta qualcosa solo se dietro c’è una volontà di pace, altrimenti non conta nulla) come moneta di scambio per ottenere la liberazione della spia israelo-americana Johnatan Pollard che dal 1987 è in prigione in America per condanna all’ergastolo. Pollard, che è una delle innumerevoli spie che Israele ha sempre mantenuto e mantiene sul terreno della grande nazione sua protettrice, incluse quelle che rubarono nei laboratori americani il disegno della bomba atomica a vantaggio di Israele, come rivelato recentemente dal carteggio Kissinger-Nixon, deve averla fatta ancora più grossa per essere stato condannato a una pena così lunga. Tutti gli interventi fatti per oltre vent’anni con straordinaria insistenza dai governi israeliani per ottenere il suo condono sono stati sempre respinti dai presidenti americani. Che cosa Pollard abbia realmente fatto è coperto dal segreto di stato, ma uno dei capi del Pentagono si lasciò sfuggire una volta che, tra l’altro, aveva trasmesso a Gerusalemme tutti e dieci i volumi del manuale della rete di sorveglianza globale di spionaggio elettronico americano (Radio-Signal Notations o RASIN), una rivelazione che potrebbe aver compromesso la libertà o la vita di agenti americani in altri paesi.

Nel frattempo il portavoce dei 300.000 coloni ebraici a cui il governo di Tel Aviv ha permesso di insediarsi attraverso gli anni nel territorio palestinese occupato – ciò contro la legge internazionale e le disposizioni delle Nazioni Unite – ha fatto con tutta calma sapere al governo con una lettera, che se esso prenderà nelle trattative un qualsiasi impegno compromettente i loro insediamenti o comunque i loro interessi, i coloni lo faranno immediatamente crollare; e non c’è dubbio che possano farlo, data la loro forza politica, direttamente rappresentata nella coalizione governativa. Queste dunque le prospettive della pace “mai sembrata così vicina.”

La riunione dei capi di sei organizzazioni internazionali israelo-americane con il ministro Frattini, con cui è stata anche inaugurata la nuova, spettacolosa sede della missione italiana all’ONU nell’attico di un grattacielo accanto alle Nazioni Unite, si è svolta a porte chiuse e non si è saputo molto precisamente che cosa si sia detto. Non è però chiaro perchè l’Italia senta il bisogno di tenere all’estero queste riunioni, che un comunicato italiano ha chiamato “tradizionali”, e ancora meno chiaro è perchè le organizzazioni invitate siano soltanto quelle che difendono a spada tratta la linea di occupazione illegale della Palestina tenacemente seguita – in pratica se non in teoria – dal governo d’Israele. Altre invece, che si battono per la soluzione bi-statale e per una vera, rapida pace, non sono state mai state invitate. Tra l’altro, le posizioni di queste ultime organizzazioni sono molto più vicine a quelle attuali del presidente Obama e dei suoi collaboratori (Clinton, Mitchell), di quanto non lo siano quelle delle organizzazioni ebraiche americane di vecchio stampo, che anzi sono, sui punti fondtamentali, nettamente all'opposto.

Ho domandato al ministro Frattini il perchè della omissione delle organizzazioni pacifiste ebraiche dall’incontro con lui e mi ha risposto, molto francamente, di ignorarne l’esistenza; mi ha anzi chiesto di comunicarne il nome al suo ministero, come infatti io ho fatto. Negli Stati Uniti, le principali di queste organizzazioni sono la “J – Street,” che si definisce “il movimento americano pro-Israele e pro-pace” (presidente, Jeremy Ben Ami), basata a Washington ma con una sede a New York (delegato Gil Kulick); e la società “Americans for Peace Now”, che è una filiazione della importantissima associazione pacifista “Peace Now” operante in Israele.

Queste organizzazioni trovano vastissimo appoggio presso la popolazione israelo-americana, quasi tutta di colorazione democratica, che ha appoggiato l’elezione di Obama, mentre sono snobbate dalle organizzazioni più ricche che fanno capo a Wall Street e che sono, all’incirca, quelle ricevute da Frattini. Esse sono abbondantemente documentate su Internet, Googles, Facebook e Twitter, e non vi è difficoltà dunque a conoscerne i recapiti.

Il ministero degli esteri italiano sa certamente anche che nello stesso Israele il movimento per la pace e contro le organizzazioni estremiste che condizionano il governo trova sempre maggiore aderenza tra la popolazione, che nelle “poll” si pronuncia a grande maggioranza, e sia pure, finora, invano, per l’accordo con i palestinesi. Il movimento “Peace Now” sta per inciso organizzando sorvoli del territorio occupato dagli insediamenti illegali, che mostrano come questi siano stati impiantati lungo linee strategiche sulla sommità delle colline, come in attesa di scontri armati (l’occupazione istantanea degli altipiani fu quella che fruttò la vittoria a Israele nella “guerra dei sei giorni”).

Infine le autorità italiane a New York, per esempio il nostro Istituto di Cultura, potrebbero sicuramente dare spazio più di quanto non abbiano fatto finora al movimento pacifista, che sia negli Stati Uniti che in Israele è patrocinato da figure ebraiche di altissimo valore intellettuale. In Israele, la sua popolarità nell’ambiente della cultura è stata solo pochi giorni fa dimostrata dalla decisione dei rappresentanti di tutti gli organismi teatrali di rifiutare, in blocco, ogni esibizione nei nuovi teatri che i “coloni” hanno inaugurato negli insediamenti.